IdF Archives, Enzo Torresi ricorda la straordinaria esperienza Usa di Olivetti

enzo-torresi-thumb

All’inizio, era l’Olivetti.

Il 29 ottobre 1908 aprì a Ivrea la prima fabbrica di macchine da scrivere Olivetti, fondata da Camillo e lanciata poi a livello internazionale dal figlio Adriano.
Una storia straordinaria, anche se dall’epilogo amaro. Un esempio unico di azienda votata all’innovazione, con uno spirito aziendale molto simile a quello di Silicon Valley, dove l’Olivetti sbarcò in forze, contando oltre 250 dipendenti al momento della chiusura, 1994-95 nei laboratori di Cupertino e Palo Alto.
E gli “Olivetti Boys”, oggi imprenditori veterani, sono il nucleo centrale  degli Italiani di Frontiera protagonisti di questo blog. A partire da un testimone d’eccezione, Enzo Torresi, oggi venture capitalist con EuroFund , che fu il vero protagonista dell’avventura Usa di Olivetti.

DA IVREA ALL’AMERICA – Laureato da poco, all’inizio degli anni Settanta entrai in Olivetti. A Ivrea avvenne una cosa molto strana. Il mio capo a Ivrea era un americano della Xerox, che Olivetti aveva assunto come responsabile della ricerca. A Ivrea aveva 400 persone, altre 40 nel New Jersey, a Tenafly.
Questo americano Phd era un radioamatore. Io ero cinque livelli sotto di lui e un giorno per caso ci incontrammo in un corridoio e gli dissi che ero radioamatore come lui, Guardando nei nostri registri trovammo le rispettive sigle: ci eravamo gia’ parlati senza sapere chi fossimo.
Questo piccolo evento risulto’ molto importante per la mia carriera, perche’ lui mi favori’ molto. “Dottor Torresi, io la portero’ nel mio laboratorio nel New Jersey che e’ molto importante perche’ penso che qui sarebbe sprecato…”, mi diceva.

COINCIDENZA FORTUNATA NEGLI USA – A quei tempi a Ivrea in mille facevano progettazione, in 400 facevamo ricerca. Resistetti li’ dieci mesi, dopo di che lui mi mise su un aereo mandandomi con una scusa all’Universita’ del Rhode Island, dove feci un corso di due mesi post graduate sulla fisica dei display a cristali liquidi. In due mesi di Kingston mi resi conto che quel che volevo fare io era negli Stati Uniti.

Lui alla fine di questa permanenza mi mando’ nel laboratorio del New Jersey, dove avvenne un altro caso fortuito. Il capo dei capi della ricerca e sviluppo, ingegner Perotto venne negli Usa per approvare il budget 1971. E io mi trovavo li’ in queste due settimane di permanenza… Io avevo lavorato per un po’ con i colleghi americani per fare una dimostrazione di questo display, uno schermo sul quale dovevamo far apparire inumerai di una calcolatrice elettronica. In questa riunione in cui presentavamo il nuovo prodotto del gruppo di ricerca mi disse: “Per sbrigarci perche’ non me lo racconta lei cosa state facendo, invece di questi americani, che ho dfficolta’ a capire cosa dicono?”. Io feci tutta la presentazione, poi la dimostrazione, l’indomani lui prima mi partire mi disse: “Sa, tutti stanno pensando di farla venire in questo laboratorio ad aiutarli in questo progetto dei cristalli liquidi perche’ ha fatto buona impressione a tutti”.
Tornai a Ivrea e raccattai tutto… avevo un figlio di un mese, Marco, ero appena sposato. E nel dicembre 1970 mi trasferii permanentemente in America. Non so se sia stata una fuga dei cervelli ma di fatto io mi dissi con mia moglie che sarei stato infelice a Ivrea e volevo cogliere questa opportunita’ che mi si presentava.

TEST PREVENTIVI SUI CHIP USA – Dopo due anni di lavoro, Olivetti vendette questi brevetti a Timex e Motorola. Il gruppo americano venne sciolto e io corsi il rischio di tornare in Italia. Ma in quel periodo in California stavano nascendo diverse aziende di semiconduttori: Intel, Motorola, Texas Instruments…. Io proposi di fare di mestiere il residente Olivetti presso queste societa’ di semiconduttori, con cui stavamo stabilendo importanti rapporti per trasformare in elettroniche macchine da scrivere e calcolatrici che allora Olivetti faceva con lamiere stampate. Tutti concordarono che ci fosse bisogno di una persona negli Usa. All’inizio mi diedero un ufficio a New York, da dove dovevo fare il pendolare con San Francisco. Dopo un mese mi trasferirono a Mountain View, dove affittarono un appartamento.

Io avevo tre uffici dedicati: uno a Intel, uno alla National Semiconductors e uno alla Texas
Instruments. Era il 1973. Dopo due anni, tutti consideravano positivamente il mio esempio.
All’epoca all’Olivetti, prima dell’arrivo di Carlo De Benedetti, c’erano Marisa Bellisario e l’ingegner Ottorino Beltrami. Ci fu un successo di progettazione alla Fairchild, che fece un chip molto grande tutto in silicio, che sostituiva tutte le componenti meccaniche di una calcolatrice, rispetto alle vecchie macchine elettromeccaniche. Olivetti mise in produzione questa macchina, tutti parlavano di questa idea di mandare un residente presso queste aziende e mi diedero carta bianca per fare altre attivita’.

SCONTRI CON INTEL – Olivetti stava iniziando a comprare grandi quantita’ di prodotti, memorie statiche da Intel soprattutto, e da Texas Instruments. Io proposi di fare un laboratorio per collaudare tutti i semiconduttori che partivano da Silicon Valley per Ivrea, come avevamo fatto in un primo test. Mi dissero ok e fecero fare un investimento di 500.000 dollari di allora per comprare due grosse macchine di collaudo dei semiconduttori. A questo punto, il gruppo divenne di venticinque persone. Il nostro mestiere era quello di confrontare i risultati dei test con le specifiche tecniche dei prodotti di Ivrea. Quindi (se risultavano incompatibilita’) potevamo anche rifiutare una spedizione. Cosa che io feci un paio di volte, con Intel, suscitando reazioni risentite e quasi grane diplomatiche. Ma se il chip di memoria che ci consegnavano non passavano lo screening di Cupertino, veniva rigettato. Per Olivetti questo fu un grosso risparmio: in tempi normali si sarebbero accorti di incompatibilita’ solo quando il chip era gia’ arrivato a Ivrea, e Intel poi rifiutava di riconoscere vi fossero problemi, scaricando la responsabilita’ sui tecnici di Ivrea… cosi’ invece noi controllavamo e dicevamo loro: venite a vedere il test di Cupertino, dieci minuti di macchina e vi convincerete anche voi…”. Questa operazione dei test divene un altro grosso successo di efficienza per Olivetti e mi diedero ancora un po’ piu’ corda.

PROGETTARE IL PRIMO PC OLIVETTI – La fonte dello Unix iniziale fu all’Universita’ di Berkeley… io presi degli ingegneri di Berkeley per lavorare su questo prodotto Unix che si faceva a Cupertino per Olivetti, tra loro anche Gianluca Rattazzi, che era un softwarista.
Avevamo assunto una decina di persone Unix con cui fare questi progetti.. Nel 1980 eravamo circa 120 tra laboratorio test e software factory. Ed avevamo iniziato a fare il progetto della macchina da scrivere elettronica. E negli ultimi due anni anche dell’M 20, il personal computer Olivetti. Tutto qui a Cupertino. Io venni nominato presidente dell’Advanced Technology Center… spendevamo circa 15 milioni di dollari all’anno con queste progettazioni, parte del budget ricerca e sviluppo Olivetti.

UN’USCITA IN AMICIZIA – Quando lasciai, nell’aprile 1982, Olivetti aveva 140 persone tra Cupertino e Palo Alto, di cui piu’ della meta’ americani. Gli altri erano italiani che venivano da Ivrea. Divisi in due categorie: quelli che restavano e quelli che andavano via tornando in Italia. Perche’ alcuni non si adattarono mai all’ambiente Slicon Valley. Alcuni avevano la moglie che non si trovava bene in California. Ma la maggioranza sono restati ed hanno fatto altre attivita’ importanti . Come Lucio Lanza venture capitalist, Mario Mazzola divenuto poi capo di

Cisco. Olivetti qui divenne la meta piu’ ambita degli ingegneri.
Perche’ me ne andai? Incontrai l’ingegner De Benedetti, era il periodo in cui nasceva il pc. Lui mi disse: “Abbiamo una posizione molto importante per lei: fare il capo della divisone personal computer. Questa e’ la buona notizia, la brutta e’ che questo posto e’ a Ivrea non in California…”.
Io dissi: “Guardi, credo che sia il momento per me di fare una scelta. Apprezzo molto la sua proposta ma sto pensando di mettermi in proprio, fare una societa’ nuova, capitalizzando tutto quello che ho imparato in dieci anni… restiamo buoni amici, la societa’ fa distribuzione di pc quindi probabilmente riusciremo a lavorare con voi, compreremo e venderemo pc Olivetti …”.
Lui si arrabbio’ un poco. Poi mi fece sapere che erano addirittura interessati a investire nella nostra societa’, la Businessland.

UNA VICENDA TRISTE – Quella di Olivetti e’ stata una storia molto triste. E’ stata distrutta dalla concorrenza. Quando e’ uscita dal suo mercato naturale delle macchine da scrivere e calcolatrici elettroniche, fabbricando pc e minicomputer, si e’ messa in concorrenza diretta con Ibm e altre aziende americane… l’ultimo atto fu l’acquisto della licenza wireless, per 750 miliardi di lire, mi pare. E divenne il primo fornitore di un’alternativa wireless nella telefonia, e cosi’ nacque Omnitel. Nel frattempo, 1994-95, Olivetti in California, che aveva circa 250-300 ricercatori fra Cupertino e Palo Alto, fu chiusa, come la parte minicomputer e pc di Olivetti che perdeva tantissimi soldi.
Oggi e’ facile chiedersi come mai non sia stato fatto niente per salvarla… queste cose accadono in tempi brevissimi. Dall’accusare alcuni colpi di tosse ad ammalarsi gravemente, una societa’ ci impiega sei mesi. E nessuno capisce come mai succede una cosa del genere. Finche’ ci sono vendite in corso, cash e banche… nessuno e’ pronto ad ammettere che l’azienda sta morendo. Poi improvvisamente i creditori si fanno avanti e si apre un precipizio… purtroppo e’ troppo tardi per fare qualcosa. Si erano tentati accordi con ingresso nel capitale Olivetti, prima con un gruppo francese, poi con una ricapitalizzazione, 20% da At&T, 8% da Digital Equipment, nella speranza di scongiurare la chiusura. Ma un altro problema era che Olivetti produceva pc ed altre componenti in Italia, in enormi fabbriche, in concorrenza con Cina, Taiwan… con i sindacati che non ti premettevano di mandare a casa nessuno… era destino che finisse cosi’… un discorso molto difficile da fare in Italia, quello della flessibilita’…

UN PATRIMONIO ANDATO PERDUTO – Fosse successo qui in America, penso che molti progettisti di Ivrea, bravissimi e di grande valore, che ho conosciuto, in grado di fare start up, avrebbero forse potuto trovare i finanziamenti per far decollare nuove aziende. Forse il governo avrebbe dovuto favorire con partecipazioni iniziative di venture capital per non perdere questo grosso patrimonio di risorse umane. Invece, Olivetti fu lasciata letteralmente morire. Alcuni sui esperti divennero consulenti di societa’ di Milano. E, rispetto ai tempo in cui passai io, all’inizio anni Settanta, quando era una delle citta’ piu’ ricche di Italia, con iniziative culturali Olivetti, biblioteche, teatri, Ivrea si trasformo’ in una citta’ fantasma.

2 Comments

  • Simone Brunozzi on 14 Dicembre 2009

    Ottimo spunto, Roberto, sono articoli come questi che ci ricordano come “il petrolio è nel nostro cervello” (come dice anche Severgnini). Sarebbe bellissimo se tu potessi raccogliere le testimonianze di molti ex-Olivetti facendone un mini-documentario. Sarebbe un fantastico pezzo di storia dell’IT italiano. Continua così 🙂

  • Roberto Chibbaro on 11 Gennaio 2010

    Pezzo bellissimo: per me, che negli anni 70 ero appena nato, e oggi mi occupo di web a tempo pieno, Olivetti è sempre stato il riferimento culturale e imprenditoriale. L’uomo che aveva creato lo spirito Google 40 anni prima di Google e in Italia per di più.

Leave a Reply