Visionari e astronauti: quel “vedere la Terra nel suo insieme” indispensabile per riuscire a salvarla

Cosa c’entra un personaggio visionario della controcultura anni Sessanta, che tutti conoscono per una sua frase resa celebre da Steve Jobs, con un fenomeno di percezione che gli scienziati studiano oggi, “The Overview Effect“, di cui sono stati testimoni molti degli astronauti che hanno vissuto sulla stazione spaziale orbitante?

Un piacere e un onore aver contribuito con un mio articolo al rapporto curato da Beecofarm, tech hub dell’innovazione nel campo dell’agricoltura, su COP29 conferenza ONU sui cambiamenti climatici conclusa nei giorni scorsi in Azerbaijan. L’ho fatto senza entrare nel merito dei mille problemi che affliggono la Terra, non ne ho la competenza, ma con una riflessione sull’importanza di avere una visione d’insieme del pianeta, per una Nuova Consapevolezza.

Il rapporto è disponibile sul sito di Beeconfarm

Nei primi anni Sessanta, un personaggio bizzarro girava con una giacca di pelle da nativo
americano e un cilindro in testa per le strade di San Francisco, con sulle spalle un cartello
con la scritta “Cosa aspetta la NASA a pubblicare le foto della terra vista dallo spazio?”.
A noi, così abituati oggi alle immagini dallo spazio da satelliti e stazione spaziale orbitante,
quel tipo può sembrare un personaggio strampalato, mezzo matto, proprio come lo
consideravano i suoi contemporanei.

Stewart Brand a San Francisco negli anni Sessanta

Ma l’idea che Stewart Brand aveva in testa era che quando gli abitanti del pianete avrebbero
visto quelle foto, finalmente avrebbero capito. Capito che la Terra è un tutt’uno, dove
frontiere e confini non esistono. Quel tutt’uno affascinante con continenti e mari velati
dalle nubi visto dallo spazio però è una sfera sospesa e fragile che va tutelata…
Solo da pochi anni gli scienziati stanno studiando un singolare fenomeno di percezione
chiamato Overview Effect, testimoniato da diversi astronauti che hanno vissuto sulla
Stazione Spaziale Orbitante, compreso il nostro Paolo Nespoli: vedere per un periodo la
Terra da lontano ha portato in molti di loro un irreversibile mutamento di percezione, la
consapevolezza profonda che il nostro pianeta è un tutt’uno ma sospeso e fragile, che per
questo abbiamo un’enorme responsabilità nel tutelarlo
.


Che l’intuizione di un personaggio bizzarro sia diventata mezzo secolo dopo un fenomeno di
percezione meritevole di essere studiato è una suggestione preziosa, all’apertura di un
COP29 a Baku che dedicato alle sfide climatiche, con un focus particolare sull’impatto del
settore agroalimentare, affronta un’agenda impressionante per la drammaticità dei problemi
del pianeta, dall’energia alla pace, dai cambiamenti climatici all’innovazione. Con un capitolo
che tratterà del Capitale Umano: siamo fra i principali artefici dei problemi di degrado ma
dobbiamo avere fiducia nel potenziale di questo patrimonio di conoscenza e creatività per
trovare soluzioni a questi problemi.

Stewart Brand in una recente foto


Resta più che mai importante la “visione d’insieme” evocata dall’Overview Effect e
dall’intuizione di Stewart Brand, vero personaggio all’incrocio fra tecnologia e controcultura
californiana (la sua biografia racconta che quella “visione” fu frutto di un trip con l’acido…),
oggi ultraottantenne che dopo aver realizzato prima di Internet una serie di leggendari
volumi col titolo “The Whole Earth Catalog” che erano davvero un compendio di conoscenza
“in stile Internet” ma su carta, come catalogo “della Terra nel suo insieme”, resta un bizzarro
visionario esploratore del futuro con la fondazione “The Long Now” (fondazione del lungo
presente).

La copertina di un numero di “The Whole Earth Catalog”


Ma importante è anche la consapevolezza che questa Complessità che l’Intelligenza
Artificiale sembra aver esasperato ci impone di “aprire la mente” e cambiare prospettiva.
Non solo negli stili di vita ormai incompatibili con la sostenibilità, pure nel confronto con
questa Complessità. E se proprio l’Intelligenza Artificiale offre nuovi strumenti di
elaborazione, la capacità di trovare soluzioni è affidata oggi più che mai alla creatività del
Pensiero Laterale, capace di uscire dagli schemi, vedere fili rossi che sono generati
dall’intuito, per cavalcare un’onda, quella di una conoscenza e di dati sempre più complessi,
che affrontata in modo tradizionale rischia di travolgerci.


In “Generalisti”. Perchè una conoscenza allargata, flessibile e trasversale è la chiave del
futuro” (LUISS 2020)
il giornalista David Epstein ha raccontato una straordinaria galleria di
personaggi che hanno saputo trovare soluzioni a problemi complessi spesso considerati

irrisolvibili da superspecialisti del settore, proprio unendo i puntini di campi diversi, quella
contaminazione tra settori del sapere che è richiesta oggi per una visione d’insieme.
Da anni col progetto Italiani di Frontiera indago sui segreti del talento italiano. Non
penso proprio che ci sia una qualche nostrana “superiorità genetica” nel fronteggiare la
complessità, ci mancherebbe. Ma questo unire i puntini, uscire dagli schemi e “vedere” quel che altri no scorgono, non è proprio solo di geni come Leonardo, Marconi o Federico Faggin,
mio mentore che ha firmato il primo microprocessore e inventato la tecnologia touch, prima
di esplorare oggi ultraottantenne una nuova frontiera fra scienza e spiritualità.
Siamo davvero tutti “nani sulle spalle di un gigante”, la storia che ci ha preceduto, come dice
Renzo Piano. E’ il momento di esserne consapevoli, nell’affrontare problemi così complessi
con un pizzico di fiducia ed eccentricità in più, nel lasciare percorsi tradizionali per
inaugurarne di nuovi, inesplorati. Senza dimenticare le parole d’augurio per il domani che
scrisse Stewart Brand nell’ultima pagina dell’ultimo volume del suo catalogo, che in
copertina aveva sempre immagini della Terra vista dallo spazio.
Brand è meno famoso di chi quelle sue parole d’augurio per il domani, ha immortalato, in un celebre discorso algi studenti dell’UNiversità di Stanford nel 2005, un “certo” Steve Jobs: “Stay Hungry, Stay Foolish”.

Sreve Jobs nel leggendario discorso all’Università di Stanford, 2005.

 

Il rapporto è disponibile sul sito di Beeconfarm