Quel ragazzino umbro che 20 anni fa trasformò un sito dei Simpson in piattaforma per cercare i dispersi dello tsunami
Vent’anni fa, nei giorni a cavallo di Capodanno 2005, mentre in tutto il pianeta rimbalzavano le terribili immagini del disastro provocato dallo tsunami in Asia, un ragazzino umbro di quattordici anni diventava protagonista su giornali, tv e siti web di mezzo mondo, con un’idea semplice e geniale, capace di dare una mano concreta dall’Italia, grazie al web, nelle ricerche di sopravvissuti dall’altra parte del globo.
Quella vicenda merita di essere ricordata, non solo per capire meglio i tempi in cui viviamo, i meccanismi che regolano il mondo della comunicazione, le opportunità che la Rete offre a ognuno di noi. Anche perchè quell’esempio straordinario di un adolescente, che riuscì in una piccola grande impresa, fu ispirata da competenza, slancio d’altruismo ed energia positiva, valori di cui abbiamo tanto bisogno oggi, dopo un anno drammatico che si chiude fra guerre non lontane, emergenze ambientali e incognite sul futuro, in parte determinate da imprevedibili sviluppi delle tecnologie, a cominciare dall’Intelligenza Artificiale.
A fine dicembre 2004, a quattordici anni, Valerio Natale, studente di Amelia (Terni) con la passione per l’informatica, colpito dalla portata di quel disastro lontano, aveva pensato di potersi rendere utile, attraverso la Rete, trasformando un suo sito web dedicato agli appassionati dei cartoon Simpson in piattaforma per la ricerca dei dispersi del dopo tsunami, incrociando semplicemente i database di ospedali e centri di assistenza che stavano curando feriti con quelli di tantissime persone che stavano cercando i propri cari. Un sistema semplice, che in pochi giorni aveva registrato centinaia di migliaia di contatti, svelando per di più che l’iniziativa individuale poteva dimostrarsi più rapida ed efficace degli strumenti adottati da tante istituzioni nazionali e internazionali.
Una storia in cui, qualche anno prima di immaginare Italiani di Frontiera, anch’io avevo avuto un ruolo. Perché raccontandola fra i primi, avevo innescato un incredibile effetto a catena globale, con un lancio dell’agenzia Reuters in cui lavoravo, che subito tradotto in svariate lingue (compreso il thailandese!) era stato ripreso da siti, testate e emittenti di tutto il mondo. Favorito nei motori di ricerca da curiose coincidenze nelle parole chiave: il cognome di Valerio (Natale), il nome del sito che aveva trasformato (dedicato inizialmente ai Simpson) che avevano esteso la sua diffusione.
Oggi Valerio è giovane avvocato in uno studio legale internazionale a Roma, che qualche anno fa mi aveva invitato a un suo evento aziendale. A sorpresa, avevo inserito fra le storie d’ispirazione del mio intervento questa di cui lui era stato protagonista, suscitando grande stupore e ammirazione fra i suoi colleghi. Valerio non l’aveva raccontata a nessuno.
Sì, è andata così. Davanti a quelle immagini sentivo il bisogno di fare qualcosa e l’unico strumento che avevo era un sito web, allora dedicato ai Simpson. Ho semplicemente deciso di utilizzarlo in modo diverso, trasformandolo in uno spazio utile per chi cercava informazioni sui dispersi. Non c’era un piano preciso, solo il voler dare una mano in qualche modo con i mezzi a disposizione.
Ho agito con l’ingenuità di un adolescente che si lancia in un progetto senza pensarci troppo. Ho smantellato le sezioni dedicate ai Simpson e le ho sostituite con una pagina principale che spiegava l’iniziativa. Poi ho aggiunto un modulo essenziale per raccogliere e cercare nomi: niente grafiche particolari, solo funzionalità. L’ho fatto girare e poi da lì è cresciuta una valanga di contatti, fino a centinaia di migliaia di visitatori nei giorni successivi e un enorme database di dispersi.
Le email di sconosciuti che mi ringraziavano e incoraggiavano il progetto. Le offerte a sostenerlo economicamente, anche se non c’erano spese vive significative. E poi i gli aggiornamenti sulle persone ritrovate. Era bello vedere come, nonostante l’improvvisazione, le persone riconoscessero l’utilità di quello spazio e mi rendessero partecipe delle gioie dei ritrovamenti. Mi sono sentito parte di qualcosa di più grande, di dare un contributo, nonostante tutto.
Da un lato, la scalabilità del progetto, grazie alle riprese delle agenzie su scala internazionale. Dall’altro lato, il livello di fiducia che le persone riponevano in un progetto fatto in casa. Nessuno mi conosceva, ero solo un ragazzo con una tastiera, eppure centinaia di persone si sono fidate e hanno contribuito.
Sapere che, seppure in minima parte, quell’idea ha aiutato qualcuno a ritrovare una persona cara o ad avere notizie in un momento di caos totale. Ogni email di ringraziamento, ogni racconto di speranza ritrovata è stata una soddisfazione immensa. A livello personale, è stata la prova che il desiderio di fare qualcosa di buono può tradursi in risultati concreti, anche quando si parte da zero.
Rimpianti per il passato, propositi per il futuro?
Un piccolo rammarico che ho è di non aver conservato molto del capitale umano raccolto durante quella esperienza. Ho perso le migliaia di email che ricevetti al tempo e praticamente tutti i contatti che avevo costruito. A 14 anni forse non avevo la maturità e la consapevolezza dell’importanza di coltivare una rete sociale. Anche oggi comunque non parlo mai di quella esperienza, la vivo un po’ come un fatto privato. Una cosa che voglio fare, però, è visitare un giorno quei luoghi colpiti dallo tsunami: sarà curioso, ma non ci sono mai stato.
Qualche anno fa nel corso di un’altra emergenza, quella della pandemia, Valerio aveva partecipato con un intervento in video alla piattaforma lanciata da Italiani di Frontiera con idee da tutto il mondo per il dopo Covid.
Ecco il suo contributo.