Francesca Cavallo

Sono passati tredici anni ma sembra un’era geologica, da quando Francesca Cavallo, origini tarantine classe 1983, assieme ad Elena Favilli aveva sbalordito la platea del concorso startup di Mind the Bridge con una presentazione travolgente di “Timbuktu Labs” (io ne avevo scritto in un blog con video che tenevo per Forbes), progetto di editoria digitale per realizzare una rivista internazionale per bambini in inglese e cinese su tablet, vincendo la competizione e trasferendosi oltreoceano, prima a San Francisco poi a Venice nell’area di Los Angeles.

Grandi apprezzamenti ma scarsa redditività, gli ultimi dollari erano così finiti nella scommessa di un libro per ispirare le ragazze a sfondare il soffitto di cristallo che frena le loro ambizioni,  con storie di grandi protagoniste femminili della storia e dell’attualità. 

Francesca Cavallo con Elena Favilli ai tempi dell’avventura di Timbuktu Labs

Ma servivano almeno i soldi per ingaggiare illustratrici di valore. Chiesero poche decine di migliaia di dollari, in 28 giorni ne arrivarono un milione da 70 Paesi, con quella che è stata la più ricca campagna di crowdfunding nel mondo dell’editoria, mentre il libro ha venduto otto milioni di copie (un milione in Italia), con traduzioni in 49 lingue, 14 milioni di dollari fatturati in un solo anno tra favole e merchandising. Un successo mondiale travolgente, quello di  “Storie della buonanotte per bambine ribelli”, realizzato assieme a Elena Favilli.

Dopo quell’incredibile esperienza, Francesca è ripartita da sola. Prima con un’imperdibile riflessione autobiografica, “Ho un fuoco nel cassetto”, sulla sua esperienza di giovane intraprendente imprenditrice e artista pugliese, figlia di un venditore d’auto e di una casalinga, che  arriva a dire no a grandi nomi di Hollywood, che vorrebbero trasformare sullo schermo quel libro in manuale per donne che vogliono fare impresa, mentre lei vuole continuare a considerarlo un prontuario per sfidare il famoso tetto di cristallo che opprime le ambizioni di tutte le ragazze.  Poi con rinnovato spirito da startupper, in un  altro libro  “Storie Spaziali per Maschi del Futuro” che autoprodotto, in Italia dove non ha trovato un editore e una distribuzione tradizionale, ha in breve conquistato la cima delle classifiche grazie alla vendita online, prima di uscire  in mezzo mondo in inglese, portoghese, tedesco, danese, spagnolo, catalano e croato..

 «Rinunciare a uscire in Italia, io che vengo dal paese di Maria Montessori, Elena Giannini Belotti Gianni RodariLoris Malaguzzi?», si è chiesta con sano orgoglio “patriottico-pedagogista”, rievocando grandi figure dell’educazione e della letteratura per l’infanzia.

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Francesca Cavallo alla presentazione del suo ultimo libro a BASE Milano

Il nuovo incontro con Francesca Cavallo

 

Dopo tanti successi, ripartire da sola con spirito da startupper… com’è successo?
Avevo finalmente concluso un lavoro durato due anni per il nuovo libro, ero alla vigilia di una delicata operazione chirurgica e aveva mandato la proposta a diversi editori italiani. Convalescente, avevo riaperto dopo giorni la posta elettronica convinta di poter scegliere fra diverse proposte… invece nessuno aveva risposto! E l’unica proposta era poi arrivata da una grande casa editrice… ma con un compenso che non copriva nemmeno i costi sostenuti per pagare l’illustratore. Allora ho deciso di fare da sola. Per un libro che ha trovato all’estero diversi editori.

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Francesca presenta “Storie Spaziali per Maschi del Futuro” ai bambini di una scuola di Bruxelles

Com’è nata l’idea di un libro dedicato ai ragazzi?
In mille presentazioni ero stata tempestata dalla stessa domanda: E i maschi? Una domanda che mi infastidiva ma che in realtà toccava un punto delicato e ha innescato una riflessione. Se nelle favole le protagoniste femminili sono in genere figure subalterne, bisognose di protezione, che sognano di realizzarsi trovando il principe azzurro… cosa sappiamo di questi principi azzurri? Che in genere si sposano non tanto per amore quanto per tutelare una proprietà, la continuità del casato… ma nulla sappiamo del loro stato interiore. Ed è su questo che mi sono concentrata.

E cosa hai scoperto con questa riflessione?
Che nel delineare i personaggi maschili, nelle favole dubbi, dolori, incertezze sono nascosti, come se dovessero occultare vulnerabilità, fragilità. A differenza di molte protagoniste femminili, non si ribellano quasi mai ai piani delle loro famiglie, il loro fine è custodire l’integrità del regno, anche se per farlo devono sacrificare la propria, di integrità. A pensarci bene, sembra che a esternare un tormento interiore nei protagonisti delle favole siano solo esseri così “diversi” dallo stereotipo maschile da avere un aspetto ‘osceno’, fuori dai canoni tradizionali, come la Bestia e Quasimodo, il gobbo di Notre Dame. Da lì l’idea che fosse necessario riscrivere questo Immaginario. Un lavoro difficile, durato due anni.

Con una prospettiva molto diversa da quella delle Bambine Ribelli
Sì, perchè se per le bambine l’obbiettivo era spronarle ad andare alla conquista del mondo con storie d’ispirazione, per i bambini l’obbiettivo è di spingerli alla scoperta di sè. Contro qualsiasi evidenza scientifica, ci siamo convinti che i ragazzi siano più semplici delle ragazze, che le loro identità siano meno sfaccettate, i loro bisogni più rudimentali. Queste convinzioni ci impediscono di osservare i nostri ragazzi con la dovuta attenzione, di aiutarli a coltivare la loro vita emotiva e spirituale con la dovuta cura. Ci impediscono perfino di renderci conto di quando hanno bisogno di noi… E allora che si fa? Storie Spaziali per Maschi del Futuro è la mia risposta a questa domanda. Dodici fiabe ambientate su pianeti immaginari, ciascuna incentrata su un aspetto chiave dell’identità maschile. Per andare non alla conquista del mondo ma alla scoperta di se stessi. E lo spazio che ognuno ha dentro di sé è infinito… per questo ho deciso di portarli nello spazio.

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Francesca legge un brano del suo nuovo libro ai bambini di una scuola elementare veneziana

Ma come con le Bambine Ribelli, il filo conduttore rimane la scoperta di sé e una nuova consapevolezza, anche degli stereotipi da abbattere.
Quanto siano radicati questi stereotipi l’ho capito pure durante la stampa dei libri precedenti… un tipografo aveva applicato una “censura” a una delle protagoniste attenuando alla pressa il colore nero di una modella, che gli era sembrata “troppo nera” per sfilare…un disegnatore aveva cambiato invece le proporzioni del corpo di un soggetto disabile… che proprio per la sua disabilità era sproporzionato! Ma è stata una grande soddisfazione che ci siano state bambine che si presentavano con la loro storia scritta: “Un giorno sarò in questo libro”. E che tante donne anziane abbiano letto Bambine Ribelli, che aveva ispirato loro una riflessione sul passato… spero accada anche agli uomini con questo nuovo libro.

Il tema della gestione delle emozioni e dell’identità maschile è drammaticamente attuale, in un’epoca in cui la cronaca è segnata da episodi di violenza e femminicidi.
Il mio modo di ‘abitiare’ i libri per l’infanzia ha sempre questo taglio legato all’attualità. Dai tempi della rivista per tablet, un dialogo forte con la contemporaneità caratterizza in modo unico tutti i miei libri, come “Il Dottor Li e il virus con in testa una corona”, che è stato il libro per ragazzi sulla pandemia più letto al mondo. E vale anche per queste Storie Spaziali. Ci siamo concentrati sull’educare le bambine e abbiamo compiuto progressi giganteschi, dalle loro aspettative al farle trovare un lavoro che piace. Ma quel che non abbiamo fatto è educare i maschi, giovani cresciuti con le stesse storie dei padri su una maschilità segnata da eroismo, emotività rudimentale… ma il mondo è cambiato e crescendo il banco è saltato creando dolore… abbiamo bisogno di uomini che sappiano navigare la propria emotività e quella degli altri, dobbiamo offrire storie con maschi capaci di affrontare la loro emotività, liberarli dal ‘peccato originale’ di essere maschi, dar loro la possibilità di specchiarsi in personaggi che sanno gestire la frustrazione e il rifiuto. E questo tocca pure gli stereotipi sulla guerra, ancor oggi celebrata come momento di formazione per l’uomo, cosa che non si può più prendere davvero sul serio, visto che sappiamo che la guerra è distruzione e morte. Serve un lavoro di decostruzione e ricostruzione di modelli e valori, in cui gli uomini possano essere esseri umani a 360 gradi.

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Con Francesca alla presentazione del suo ultimo libro a Milano

Dopo un grande successo, sei rimasta una startupper… cosa ti ha insegnato questa avventura?
La cosa principale che ho capito è che all’inizio per Timbuktu lavoravo 14 ore al giorno ma non riuscivo a trovare un modello di sostenibilità e mi dicevo: quando l’avrò trovato potrò dire di essere imprenditrice. Invece è nel momento in cui stai provando che sei imprenditrice e startupper. Non è l’eventuale risultato a certificarti, oggi ho capito che si procede per tentativi e mi posso anche definire un’editrice, anche se in modo diverso. Ho cambiato il mio approccio, la bellezza del fare startup è che nel momento in cui tenti, non hai bisogno di certificare il successo: è il tuo tentativo a darti dignità.

E’ quasi uno stile di vita…
Sì, perché il modo più sano di guardare al proprio viaggio è considerarlo uno strumento di crescita personale che non è scindibile dall’attività professionale, che mi appassiona così tanto perché mi dà il quadruplo di possibilità di crescita… perché sono quattro volte tanto le difficoltà da affrontare. E questo mi aiuta, in un percorso di introspezione e crescita personale.