Essere italiani: cosa ho imparato da IdF, oggi che l’Italia compie 150 anni

Tre anni fa, in una casa con giardino a Palo Alto in cui sono ripassato di recente, preparavo un post per un blog lanciato da poco, dopo le prime interviste a italiani di Silicon Valley dove stavo da meno di due mesi e sarei rimasto per altri quattro. Quel post non riguardava imprenditori ma un protagonista del Risorgimento quasi sconosciuto, Carlo Camillo di Rudio,  conte bellunese diventato poi una figura centrale di questo progetto, visto che Italiani di Frontiera, assieme a Cesare Marino, biografo del conte, lo scorso primo novembre ha ideato, promosso e realizzato con preziosi amici le celebrazioni per il centenario della sua morte a San Francisco, dove e’ sepolto, originale prologo alle celebrazioni di quest’anno, che culminano nella ricorrenza odierna del 150 anni dell’unita’ d’Italia.

Fuggito dalla Cajenna, a meta’ di una vita incredibilmente avventurosa, alla vigilia di quel 1861 di Rudio si era visto negare la possibilita’ di tornare in patria. Troppo scomodo per il regno, quel patriota repubblicano irriducibile che aveva piu’ volte dimostrato di esser pronto a tutto. Per questo aveva preso la via dell’America.

Beh, oggi nell’anniversario dei 150 anni dell’Unita’ d’Italia e’ il caso di partire da lui per una riflessione sull’essere italiani, dopo tre anni dedicati a Italiani di Frontiera, che oltre ad avermi cambiato modo di pensare e di considerare il mestiere di giornalista, sta cambiando pure la mia vita ed il mio lavoro. E mi ha ripagato con incontri straordinari.

Carica e slancio patriottico di un personaggio dell’Ottocento sono forse la prima lezione, nel cercare di ripensare oggi l’italianita’. Una frontiera fisica, quella di territori ignori, quella che sfido’ invece Giacomo Costantino Beltrami, esploratore bergamasco che risali’ il Mississipi sospinto da una forte carica ideale, quasi una crisi esistenziale. Mentre Amadeo Peter Giannini sfido’ un’altro genere di barriera, quella delle consuetudini, rivoluzionando il mondo del credito, da vero banchiere rivoluzionario capace di lasciare un segno profondo nella storia prima di San Francisco, poi addirittura degli Stati Uniti.

Fu lui a fornire i primi prestiti a Hewlett e Packard che in un garare di Palo Alto gettarono le basi del modello Silicon Valley e dunque dell’innovazione moderna.

E l’incontro con protagonisti italiani di Silicon Valley ha dato un contributo fondamentale a IdF. A cominciare  da quello con Roberto Crea, fra i padri dell’insulina sintetica: la sua straordinaria esperienza di scienziato ma anche il la genuinita’ con cui ha ricordato la sua scoperta  di un mondo nuovo, quella californiano della ricerca, all’insegna di un’informalita’ che lo aveva spiazzato, e nel quale riusci’ in pochissimo tempo a conseguire risultati straordinari.

Forse nessuno come Federico Faggin, tra i padri del microchip premiato di recente dal presidente Obama, ha saputo esaminare a fondo con IdF i meccanismi culturali dell’Italia che ha lasciato a fine anni Sessanta e che penalizzano un Paese che pure continua a sfornare talenti.

Enzo Torresi

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