Unhappy to be Italian. Partecipare ad un vertice europeo a Pescara…e vergognarsi
Italiani di Frontiera è… spacciatore d’ottimismo. E la prospettiva che apre su futuro e presente di questo Paese è ben più rosea dello sconfortante spettacolo quotidiano che ne emerge sui media, grazie ai tanti connazionali di qualità incrociati. Fiumi carsici di talento e idee che aspettano solo di venire in superficie. E magari, spero, presto travolgere e spazzar via una quantità di pessime abitudini che ci tiriamo dietro e ci penalizzano, in campo globale.
L’ottimismo ha per un attimo vacillato, partecipando ad un importante evento internazionale, la settimana scorsa a Pescara. Vergognandosi in più di un’occasione, per l’immagine dell’Italia offerta agli ospiti stranieri, a causa di alcune di quelle cattive abitudini. Fra piccoli fastidiosi gesti di negligenza, ignoranza e provincialismo. “Unhappy to be Italian…”.
L’evento era la sessione dell’Assemblea delle Regioni d’Europa, sul tema “Fronteggiando la crisi: le soluzioni regionali”, che la settimana scorsa ha visto riuniti nel capoluogo abruzzese oltre un centinaio fra politici, amministratori e rappresentanti di associazioni e imprese. Una vetrina importante sulla politica locale europea, ospitata dalla Regione Abruzzo, alla quale ho avuto l’onore di partecipare in qualità di moderatore di uno dei panel in programma (il mio su cultura e sanità) assieme a Sergio Nava, bravo collega amico di IdF, autore del seguito progetto La Fuga dei Talenti.
L’AER è la più vasta rete indipendente europea di autorità regionali, in rappresentanza di 270 regioni di 34 Paesi e 16 organizzazioni interregionali. Ha sede a Bruxelles e si regge sul lavoro tenace ed entusiasta di un gruppo di giovani funzionari abituati a pedalare con competenza in campo internazionale con una ristrettezza di mezzi e risorse che è già di per sè un esempio imbarazzante per noi, abituati a scoprire ogni giorno in casa nostra il peggio, fra sprechi e ladrocini di incompetenti.
Davvero interessante sentir discutere problemi concreti con prospettive, punti di vista e background culturali così diversi, con ospiti qualificati dalla Scandinavia al Mediterraneo all’Europa dell’Est. A Pescara si trattava solo di fornire una cornice adeguata e dignitosa a questa macchina collaudata. Forse io non faccio testo, forse ho un punto di vista troppo intransigente… ma a me le cadute di stile, nei confronti dei bravi organizzatori dell’AER e degli ospiti, sono sembrate tali e tante da sortire un esito a volte sconfortante. E bastava così poco…
Non parlerò dunque dei contenuti del summit ma di questa cornice di ospitalità. Ecco la mia personale cronaca. Giudicate voi.
Il vertice europeo si tiene in una scuola, l’Istituto Di Marzio Michetti. Che per l’importante evento… sembra quel che è: una comune scuola e basta. Bell’aula magna (peccato per i faretti bianco rosso verdi stile discoteca) ma arrivando a due ore dai lavori pomeridiani, nessuna indicazione nè tanto meno accoglienza, all’ingresso di una sede di un evento tutto sommato europeo. Gli ospiti sono al buffet, (non male anche se spartano e casereccio), chi vuole può accomodarsi sedendosi su dei gradoni, poi gettare le stoviglie di plastica in scatoloni per la raccolta… indifferenziata. Una giovane polacca chiede timidamente se per caso ci sia un menù vegetariano (che in eventi del genere è la regola) disorientando gli addetti al catering… che alla fine rimediano suggerendo le melanzane alla griglia e il riso.
Ho passato la mattinata in treno e devo rinfrescarmi e cambiarmi prima del mio panel. Non posso evitare dunque i servizi igienici, che sono a dir poco esilaranti. Cartelli “MAN” e “WOMAN” al singolare (!), appiccicati all’ingresso non li avevo mai visti. L’interno è spoglio ai limiti del surreale: un bagno con urinatoi, lavandini e senza un centimetro quadrato per appoggiare borse o fogli che tutti i partecipanti tengono in mano. Lo faccio presente a due signore (forse bidelle). Che gentilmente provvedono a riarredare… con uno sgabellino ed una seggiolina.
Finisce la sessione plenaria, i panel si svolgono nelle aule. Niente di male, non fosse che nessuno si è preso la briga di controllare e magari cancellare graffiti e scritte. Così mentre da moderatore do la parola via via alle relatrici alla mia destra, francese, belga e svedese, scorgo sullo sfondo la scritta “Verona merda” e altre irriferibili. Speriamo d’esser stato l’unico a capirle…
I lavori, d’obbligo in inglese, sono molto intensi ma filano via lisci. Peggio è andata in altri panel, dove mi raccontano di un nostro connazionale che ha proceduto con “interprete di sostegno” (un assistente che gli ha bisbigliato all’orecchio in italiano per tutta la durata del panel) mentre lui invece dei lavori seguiva messaggi e posta sul suo cellulare.
Si sbaracca di corsa, un “confortevole” transfer su autobus invece che pullman. Sino all’hotel, insignito di quattro stelle con una certa generosità, visto che la reception non è riuscita a soddisfare la richiesta non proprio astrusa di un’ospite (sperava di poter far stirare la camicia). E che il getto della doccia nella mia camera è uno schizzo triste.
Finalmente tutti a tavola, con Sergio, Fabio Donato, economista dell’Università di Ferrara esperto di management della cultura ed altri amici. Almeno la cena non si discute. Ma i rituali di ospitalità… si comincia con il saluto del prefetto, in italiano, seguito da interprete che traduce le sue parole… in italiano! Tutti ridono. Vabbè, aveva accento partenopeo il signor prefetto ma avevamo capito comunque…
Il clou è l’esibizione di Piero Mazzocchetti, cantante melodico (“che spazia dal registro pop a quello operatic pop”, dice di lui Wikipedia), fama costruita in Germania, un passaggio a Sanremo 2007. “Torna a Surriento” e “O Sole Mio” eseguite onestamente, malgrado gli eccessi di vibrato e decibel. Ma si scivola nel ridicolo con un presentatore che lo introduce come fosse Caruso, sbracando pure in una sviolinata preelettorale nei confronti del presidente della Regione seduto al tavolo davanti al palco. Speriamo che gli ospiti stranieri non abbiano capito le parole. Anche se il tono era inequivocabile…
Che immagine diamo, a questi amici europei, che per di più non sono semplici turisti? Sconfortante. Quella di sempre, negli stereotipi. I dettagli non contano: sapere l’inglese, la cura nei servizi (non solo igienici) e nell’ospitalità…non ce n’è bisogno, tanto ci salviamo con un buon piatto e due gorgheggi, che conquistano tutti.
Non si è fatto scrupoli nemmeno il giovinotto in T shirt che per due volte, attraversando la sala, al centro di una serata di un evento internazionale, ha rifilato due affettuosi e furtivi buffetti ad una signora seduta al tavolo della presidenza. Ma sì i dettagli non contano. Maestro, “O sole mio”: tutti insieme dai!
Qui sotto galleria d’immagini (le didascalie allargando il quadro e cliccando in alto a destra “Show info”).