Nicola Palmarini: la tecnologia? Senza le teste giuste è un Boomerang
Perché cent’anni di tecnologia non hanno ancora migliorato il mondo?
A rifletterci a fondo è un grande amico di Italiani di Frontiera, da anni manager IBM dopo una carriera da professionista della comunicazione, di cui è figura di spicco: Nicola Palmarini (no non è esagitato come sembra nella foto. Di più…) che nel suo ultimo libro “Boomerang” (pubblicato da Egea e curato dalla sua brava editor, Alessia Uslenghi) ha parole straordinarie proprio per IdF. Grazie Nicola, davvero onorato.
Un incrocio di preziosi amici, alla presentazione del libro nel bellissimo spazio Open di viale Monte Nero, e tutte zucche pensanti della comunicazione. Da Pietro Cerretani (Settimana della Comunicazione) a Eugenio Alberti (Ladomir), da Samanta Rizzato (Symbols) a Beppe Cova (Ambrosetti) al celebre Francesco Morace (Future Concept Lab), precettato poi come il sottoscritto per un breve intervento nel corso dell’incontro.
Come ha detto giustamente Marco Minghetti (Humanistic Management 2.0) che ha condotto l’evento, siamo afflitti da un atteggiamento quasi luddista diffuso fra i maestrini della pseudointellighentia, che fanno del cinismo il proprio marchio e individuano nei nuovi media, di cui nulla capiscono, qualcosa che sta erodendo ineluttabilmente spazi e potere riservati a loro, che hanno smesso da tempo d’imparare perché sono convinti di aver solo da insegnare. Come quell’ex giovane celebre direttore di testata che sentendosi raccontare da un collega adrenalinico un progetto (Italiani di Frontiera ovvio) troppo Out of the Box per la sua testona, borbottò: “Perché mi dici tutto questo?” e poi “Leggi il mio libro”. Quelli che… quelli che cresciuti nei salotti che contano (balle), stanno in cattedra a dar lezioni, e hanno smesso di scoprire… Uh forse pensava a loro l’indimenticato Marco Zamperini, quando diceva che gli analfabeti del futuro non saranno quelli che non sanno leggere e scrivere ma quelli appunto incapaci di imparare, disimparare e imparare di nuovo…
Beh la riflessione di Nicola a tratti si fa molto amara. Perché se “la paranoia della crescita ha portato a confondere la stabilità con la stagnazione e l’equilibrio col declino”, si rischia di bollare come falliti quanto cercano invece un equilibrio fra sviluppo economico e sociale. Perdendo la vera bussola che dovrebbe guidarci, quella di valutare ogni azione, prodotto o impresa in base all’impatto che avrà sul nostro mondo nel lungo periodo, precetto alla base della fondazione The Long Now di Stewart Brand, patriarca a San Francisco della controcultura californiana e vero anelo di congiunzione con l’hi tech (rappresentata in Italia da un altro vecchio amico di IdF Italiani di Frontiera Silicon Valley Tour 2011, Davide Bocelli).
“Il fatto che tutta questa tecnologia semplicemente funzioni è una splendida fregatura che, apparentemente, ci basta”, scrive Nicola. Mentre “Saper rinunciare o saper indirizzare le priorità no vuol dire fermare il progresso”. Insomma, congegni, gadget, app ma persino quel concentrato d’intelligenza che sono le conferenze TED possono finire col diventare un bombardamento di stimoli che danno una confortante assuefazione, illudendoci di navigare col pilota automatico verso un radioso futuro. Mentre rischiano d’essere palliativi, dice ancora Nicola. Che con un’amarezza a tratti persino feroce, arriva a uno dei unti centrali pure per Italiani di Frontiera. E cioè: ancora una volta, il discorso cade sulle zucche. Non è la tecnologia ma sono le teste dietro e dentro le tecnologie che contano. Perché ci si può riempire la bocca di parole come Startup e Innovazione e poi continuare a coltivare orticelli, gufare sui successi altrui e ignorare cosa procura al mondo il nostro benessere, hi tech o meno. Se c’è un’inquietudine di fondo in questa riflessione, sta sempre nell’incertezza della rotta. Combattere la dittatura, ricostruire un Paese in pezzi, far uscire dalla misera la propria famiglia o propiziare il boom, come hanno fatto i nostri nonni, oggi forse ci sembra più semplice come missione, solo perchè la meta pur lontana era visibile. Forse allora non lo era. Ma questa navigazione nell’incertezza va accettata come parte del mondo contemporaneo, in cui il costante fluire e la relazione tra oggetti e persone contano più delle cose stesse, come sostiene il bravo Luciano Floridi, filosofo ad Oxford, ripreso da IdF in questo recente post. In questo fluire, aggiungo io, facendo tesoro delle osservazioni di Nicola ci restano due importanti compiti, sulla rotta incerta per il futuro. Smartellare via dalla caravella la zavorra di mille incrostazioni che sono modi di pensare assurdi ai quali ci siamo colpevolmente assuefatti (incapacità di fare squadra, gioire delle sconfitte altrui e considerare un pericolo e non opportunità il successo di chi ci sta accanto…, arroganza a insopportabile cinismo), poi affidare il timone a chi viene dopo di noi, magari ispirandolo con storie di grandi navigatori, di ieri e di oggi. Infine mettersi ad ascoltare ed a guardare, senza pretendere d’insegnare. Magari i più giovani, ispirati e senza quelle incrostazioni, riusciranno a stupirci.