Buster Keaton, perchè a 50 anni dalla morte il suo genio rivoluzionario è ancor oggi simbolo di innovazione
“Davvero bello. Ma è tutto trent’anni troppo tardi…”
Alla fine dell’estate 1965, pochi mesi prima di morire, uno dei più grandi protagonisti e innovatori della storia del cinema aveva finalmente goduto del meritato trionfo, una standing ovation alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, che gli aveva dedicato una retrospettiva. L’aveva commentato amaramente con queste parole, affidate alla storica del cinema Lotte Eisner, come ricorda Kevin Brownlow, nel suo “The parade’s gone by”, un classico dedicato al cinema muto, scrivendo che “Buster Keaton è stato probabilmente il miglior regista di commedie. Al confronto, l’uso che Chaplin faceva del cinema era mediocre”.
Cinquant’anni fa, il 1 febbraio 1966, Buster Keaton se ne andava, dopo aver goduto di omaggi e riconoscimenti tardivi da parte di un mondo cui aveva dato un contributo artistico enorme e che pure l’aveva dimenticato per decenni. A decretare il suo tramonto era stata un’innovazione tecnologica, l’avvento del sonoro, combinata a una scelta imprenditoriale sciagurata, “il più grande errore della mia vita“, quella di farsi convincere nel 1928 da Joe Schenk, suo produttore e suo cognato, a vendere i propri studios per affidarsi alla nascente Metro-Goldwin-Mayer, perdendo così ogni autonomia. Proprio mentre si profilava quella rivoluzione che avrebbe decretato il tramonto di tante star del muto.
A mezzo secolo dalla sua morte, l’arte di Buster Keaton non merita di essere ricordata solo per la sua capacità di allargare i confini del cinema, muovendo la cinepresa che Chaplin teneva quasi fissa su un’inquadratura, escogitando infinite soluzioni dinamiche, mettendosi costantemente in gioco a costo di rischiare la vita in scene pericolose senza controfigura.
In film che stanno per compiere cento anni, la sua icona è oggi più che mai, nel ventunesimo secolo, metafora dell’uomo alle prese con una modernità complicata che appare incomprensibile e ostile, che pure trova il modo di non subire passivamente, escogitando soluzioni ingegnose.
Negli anni in cui un capolavoro come Metropolis di Fritz Lang (1927) prefigurava un futuro da incubo per un’umanità spersonalizzata, prima che Chaplin denunciasse l’alienante automazione finendo negli ingranaggi delle macchine in Tempi Moderni (1936)
Buster impersona l’eroe solitario catapultato in cento situazioni impossibili, capace però di uscire indenne da disastri, spesso utilizzando con inventiva le tecnologie.
Eppure avrebbe potuto accontentarsi delle sue straordinarie doti di mimo e cascatore. Figlio di attori di vaudeville, la mamma l’aveva partorito durante un ciclone, in Kansas nel 1895, durante una tournée a fianco del grande mago Henri Houdini, che secondo la leggenda gli diede quel soprannome di “Buster” (demolitore ma pure fenomeno) per la capacità di uscire indenne e pure impassibile dalle più incredibili cadute che sin da bambino i genitori gli facevano fare sulla scena. Era nato pochi mesi prima che fosse presentata al pubblico la nuova rivoluzionaria invenzione, la magia delle immagini in movimento, che avrebbe segnato la fine di quel mondo girovago del varietà, portando milioni di persone a stupirsi ed emozionarsi davanti a uno schermo.
E sullo schermo Buster esordisce nel 1917 a fianco di Roscoe “Fatty” Arbuckle. Ma lui che sognava di diventare ingegnere si appassiona presto a quel nuovo strumento. “La prima cosa che feci fu fare un migliaio di domande riguardo la cinepresa, poi andai in sala di proiezione per vedere il montaggio. Semplicemente mi affascinava“.
Come ha ricordato Nicholas Barber su Independent, in un articolo intitolato Impassibile ma vivo nel futuro: Buster Keaton il rivoluzionario, le tecnologie Keaton le usa per allargare l’orizzonte cinematografico. Come in Sherlock jr (1924)
dove interpreta un proiezionista che si addormenta e sogna di finire sullo schermo, trovandosi via via in sequenza in un giardino, su una strada, su una scogliera, nella giungla. Cosa che all’epoca senza effetti speciali e montaggi digitali richiedeva una precisione meticolosa nei rilievi per ottenere sempre la stessa distanza dalla cinepresa, andando a girare in location diverse.
Su una nave abbandonata o su un treno in corsa, Buster affronta stoicamente le avversità facendo dell’inventiva la sua forza, capace di andare oltre i limiti senza timore di sconfinare nel surreale. Sino a farsi precipitare addosso la facciata di una casa, correre già da una collina da cui rotolano centinaia di macigni o far precipitare nel fiume un vero treno, la scena più costosa della storia del muto, in The General (1926)
, con un’ambiziosa ricostruzione della guerra civile americana, per Orson Welles “forse il più grande film mai girato”.
Quanto il cinema contemporaneo deve a Buster Keaton , l’ha ben spiegato Tony Zhou, giovane filmmaker e cinefilo di San Francisco in questo montaggio
Buster Keaton – The Art of the Gag from Tony Zhou on Vimeo.
Mentre Rick Chaubet si è spinto in un’approfondita analisi del rapporto di Keaton con la meccanica.
Botanist or electrician? Buster Keaton’s relation to the mechanical: a critical analysis of some interpretations from Rik Chaubet on Vimeo.
Buster che si rialza imperturbabile e incolume dalle cadute più micidiali è un simbolo di resilienza, quasi una metafora del saper rischiare e riscattarsi con successo da un fallimento.
Buster che in tanti film compare nella posa di scrutare lontano è il simbolo di chi sa esplorare territori nuovi, oltre gli stessi limiti del mondo materiale, con spirito visionario.
Con tutta l’ammirazione espressa dalle parole di Jim Carrey, “Che genio creativo… che inventore… con un tipo del genere, c’è solo da rilassarsi e dire: ok non ci arriverò mai”.