Elti Cattaruzza, percorso estremo da “survival” fare il ricercatore in Italia
Cosa prova un ricercatore di un’Universita’ italiana ad essere contattato dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti d’America, che gli chiede di valutare (ovviamente gratis, per contributo scientifico) un progetto da 500mila dollari? Enorme soddisfazione. Ma anche un certo malumore, se tale prestigiosa competenza in patria gli viene retribuita poco piu’ di mille euro al mese.
E’ quanto accade a Elti Cattaruzza, fisico pordenonese, un passato da rugbista, ricercatore del Dipartimento di Chimica Fisica dell’Universita’ Ca’ Foscari Venezia, un’autorita’ nel campo dei materiali compositi (110 pubblicazioni, 93 su riviste internazionali). Che racconta la sua esperienza, simile a quella di altri ricercatori. A loro modo Italiani di Frontiera… in patria. Costretti ad un percorso di “survival” tra studi di portata internazionale, compensi da fame e una lunghissima precarieta’.
PRECARIETA’ ETERNA – Un numero per cominciare: 18. E’ il mio “h-index” attuale, indice che valuta contemporaneamente sia la produttività scientifica (ovvero il numero di pubblicazioni) che il loro impatto sulla comunità, all’interno di singole discipline (Fisica, Chimica, Matematica. etc.). Con quel numero negli Usa sarei Full Professor in Fisica. Qui in Italia sono un semplice ricercatore. Non ancora confermato.
La mia storia e’ simile a quella di tanti altri, laureati col massimo dei voti e destinati ad entrare in una spirale di contratti e borse di durata sei mesi, un anno… in attesa del famigerato posto fisso che ti dia delle certezze per la tua vita esterna alla ricerca, anche se con pochissimi soldi… Nella ricerca, al posto fisso si arriva cercando di restare sui binari dell’universita’ il piu’ possibile, sino a quando non passa quel treno. Indipendentemente dai meriti. Perche’ si vince quando e’ il momento, non quando si e’ il piu’ bravo… ed il meccanismo, deprecabile, alla finesi puo’ anche assolvere, se hai 20 o 30 ricercatori tutti con curricula strepitosi che si contendono un decimo dei posti;.. quindi in media chi vince e’ bravo e idoneo. Spesso vince colui che in quella struttura ha fatto la sua gavetta da precario, cosa umanamente più che lecita. Ma così non entrano mai energie nuove. Anche se non c’e’ nepotismo, a differenza di altri ambiti (universitari e non). Perche’ certo i figli di un luminare di Chimica o Fisica non sognano un posto da 1.070 euro al mese, quanto ho preso io nel mio primo anno da ricercatore (a 41 anni d’eta’)… Il mutuo per la casa l’ho avuto solo perche’ ho mostrato il contratto temporaneo che
avevo in precedenza, di “ben” 1.400 euro!
RICERCA E AZIENDE – Negli Usa si insiste su come ricerca e business vadano di pari passo. Da noi, la cosa e’ impostata male. E cioe’, un’azienda viene e ad esempio dice: replicami in qualche modo questo materiale… per di piu’, a breve scadenza. Non sono disposti a darti mille euro se non inventi, non domani ma gia’ in giornata, qualcosa che faccia guadagnar loro subito quattrini. Non c’e’ la lungimiranza di dire: guadagno cento milioni di euro, uno te lo do, studia e inventami qualcosa e vediamo cosa salta fuori. Con questo sistema non si va distante… i transistor all’inizio funzionavano peggio delle valvole. Ma se non ci avessero creduto e insistito perche’ non si guadagnava subito… E se per caso si arriva ad un risultato straordinario, cosa si fa? Lo si brevetta. Negli Usa, per i ricercatori e’ la base per lanciare una start up, trovare magari finanziamenti da un venture capitalist e svilupparlo con un’azienda propria. Ma qui? Far partire un’azienda ha costi enormi e con uno stipendio di 1.400 euro al mese…
PROGETTI “FINTI” – Tutti lo sanno ma pochi lo dicono: purtroppo, in Italia i progetti di ricerca sono spesso “finti”. E cioe’ pretesti per farti avere dei soldi, che bastano solo per tirare avanti col tuo laboratorio, non per realizzare il progetto. Se chiedi 500mila euro che sono quelli rigorosamente necessari per attrezzature, materiale, compensi per borsisti ecc.. te ne danno 200mila, con i quali quel lavoro non puoi farlo. Ma ovviamente accetti e tiri avanti. Ti viene chiesto un resoconto dell’attività che non leggera’ nessuno, e a quel punto sei in una botte di ferro, metti un po’ di fumo e tutti sono contenti. Soldi sprecati due volte. Primo perche’ non bastano per fare quello a cui sono destinati. Secondo, perche’ nessuno te ne chiedera’ conto: cosa hai prodotto, se hai raggiunto gli obbiettivi prefissati… Gli unici progetti di ricerca sensati sono quelli europei. Li’ devi darti da fare perche’ ti stanno giustamente col fiato sul collo. Devi dire a che punto sei, dare spiegazioni di eventuali ritardi… qui da noi e’ la solita recita: tutti sanno che sono solo una distribuzione di soldi per poter semplicemente tirare avanti le attività quotidiane…
IL SISTEMA NON PREMIA I MIGLIORI – Per di piu’, molto spesso non si valuta il progetto ma gli autori. Il che significa che se un giovane ricercatore scrive un progetto straordinario, ma non coinvolge nessuno gia’ conosciuto, i soldi non li pigliera’ a priori. Credo che altrove funzioni
diversamente. Che in America ad esempio si valutino i progetti e non i nomi… Questo agire a corta gittata non dà futuro. E a 35 anni, se negli Usa sei Full Professor qui entri da ricercatore e sei l’ultima ruota del carro… Poi magari, ti chiama il Dipartimento dell’Energia Usa e ti chiede di valutare un progetto di ricerca da 500mila dollari. E non perche’ hai contatti o conoscenze in alto loco ma unicamente per ciò che di te conoscono: le tue pubblicazioni scientifiche.
Qui si tira avanti solo con fortissime motivazioni interne. Nel mio caso, la passione per la ricerca e qualche riconoscimento esterno. E la soddisfazione del rapporto che ho con i miei studenti.
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