Marcello Forconi: ricercatore a Stanford, dopo concorsi beffa italiani
Una telefonata che cambia la vita, da un luminare di fama mondiale che non l’aveva mai visto in faccia ma aveva valutato e apprezzato il suo lavoro. Che in due concorsi in Italia era stato invece disprezzato.
Cosi’ Marcello Forconi (nella foto con la moglie Lina), bolognese, chimico ricercatore, e’ arrivato a Stanford.
CONCORSI ALL’ITALIANA – Sono uscito dall’Università di Bologna con una laurea in chimica industriale,108, pieno di speranze, con l’idea di fare ricerca. Un anno da laureato frequentatore (senza compenso e pagandomi una assicurazione anti-infortuni), poi un concorso di dottorato. Tanti temi generici, io ne scelgo uno, sulle tecniche spettroscopiche, che avevo trattato nella mia tesi. Il modo migliore per far capire come so sviluppare un tema per conto mio. All’orale invece, il Presidente della Commissione mi disse che avrei dovuto trattare un argomento di chimica organica… Ho capito dopo quanto sia terribile questa suddivisione rigida nell’Università In Italia, dove spesso un dipartimento non sa quel che succede fuori dal proprio orticello. Questo non aiuta lo sviluppo scientifico… Qui, a Stanford, uno viene apprezzato se prende le cose che conosce e cerca di approfondirle, applicandole ad un sistema diverso. Perchè è così che si progredisce nella ricerca.
In Italia, purtroppo, non si fa. Di solito, ti laurei e fai il dottorato nello stesso Istituto e con lo stesso professore che hai avuto durante l’anno di tesi, cosa inconcepibile qui in America! In Italia per diventare ricercatore universitario devi continuare ad appoggiarti allo stesso professore col quale hai lavorato durante il dottorato. E se decidi di cambiare laboratorio o tipo di ricerca, puoi avere seri problemi a rimetterti sul mercato universitario.
Ad un altro concorso, a Bologna, il giorno del tema avevo incontrato una mia amica, che mi aveva detto: “Fai il concorso di dottorato? Beh… sono gia’ entrate le due persone che si sa gia’ avranno il posto…”.
Il principio stesso dei concorsi in Italia, forse aveva senso in altri tempi, oggi non lo ha più. Continuare a prendere le stesse persone che già si conoscono, abituate a fare la stessa cosa per anni… alla ricerca universitaria serve invece selezionare le persone migliori in un dato campo per ampliare le conoscenze, tentare strade nuove e arrivare a nuovi sviluppi come succede nella maggior parte dei casi all’estero.
UNA TELEFONATA CHE NON DIMENTICHERÒ – Stavo facendo il PhD in Inghilterra, a Sheffield, un’Università già più aperta di quella italiana, verso la fine mandai via e-mail una domanda per fare il Post-Doc nel laboratorio a Stanford di una tra le massime autorità nel campo dell’enzimologia: Daniel Hershlag, che aveva lavorato col premio Nobel Tom Cech, che ha contribuito ad uno dei più grandi cambiamenti nel pensiero biologico degli ultimi 30 anni.
Dan (Hershlag) mi risponde quasi subito, iniziammo a scambiarci e-mail. Poi un giorno mi arriva una telefonata al cellulare, che non dimenticherò mai più. Lui, il migliore, un’autorità mondiale nel campo in cui volevo far ricerca, mi chiama come se ci conoscessimo da sempre. Spunti ed osservazioni a raffica… ed io, che non ero ancora sceso dall’auto, emozionatissimo, cercavo di rispondere alle sue domande, frugando freneticamente nello zaino a caccia dei miei appunti e di una penna con la quale scrivere i suoi suggerimenti e le sue idee. Una valanga di parole e idee, quando la telefonata è finita, mi è “morto” il telefonino. Io ero esaurito quasi quanto la batteria ma contentissimo. In due giorni ho dovuto mandare a Dan un mio mini-progetto. Poi lui mi ha chiamato qui.
Quando sono arrivato a Stanford, aprile 2003, ho capito perchè alla mia prima e-mail “Dear Professor”, avesse risposto: “Chiamami Dan”. La mentalità di questi scienziati è diversa. Vogliono instaurare un rapporto personale con studenti e collaboratori, un rapporto di parità che serve a favorire lo scambio di opinioni, anche con le persone alle quali insegnano.
PESCE PICCOLO IN UN MONDO NUOVO – All’inizio qui per me è stato un shock. Tutto era diverso: cultura, cibo, persone e soprattutto l’idea di ricerca. Non solo rispetto all’Italia ma anche rispetto all’Inghilterra; dove ad esempio ho fatto quasi solamente esperimenti, per tre anni. Ma lavorando in questo modo, a mio parere, non riesci a capire la prospettiva, il contesto globale, anche se lavori “come un matto”.
Qui, a Stanford, è tutto molto più intenso! E questo contesto globale c’è! Devi essere molto, molto bravo nel tuo specifico, senza mai dimenticare che è molto, molto piccolo. E per questo devi cercare i collegamenti per inserirlo nell’immenso mondo della ricerca che è fuori. La sensazione è quella di essere un pesciolino di un piccolo acquario messo in un oceano….. di conoscenze. Che ti dà tante possibilità, ma che all’inizio ti fa sentire perso!
LA MIA RICERCA – Nel mio caso, lavoriamo per individuare i concetti fondamentali del funzionamento degli enzimi, le molecole che permettono alle reazioni chimiche nelle cellule di procedere con velocità compatibili con la vita. Gli enzimi sono generalmente lunghe catene di amminoacidi (proteine), ma alcuni particolari enzimi (ribozimi) sono invece formati da acido ribonucleico (RNA), un polimero simile al DNA. Il mio scopo è quello di capire come funzionino questi enzimi, come catalizzino le reazioni, quali siano le similitudini e le differenze rispetto alle proteine. E questo ha anche un’implicazione per l’evoluzione della vita.
COME SI LAVORA – Per i miei studi, uso una tecnica particolare, e altri ricercatori ne usano diverse. Dunque è importante sapere cosa fanno e come si muovono gli altri, costruire dei collegamenti, usare tecniche diverse per ricostruire un’immagine che è la stessa per tutti ma non è fissa, è in movimento… Per fare tutto ciò devi essere bravo nell’usare la tua tecnica e tenerti aggiornato, devi mantenere stretti collegamenti con gli altri, se vuoi ricostruire questa immagine.
Una volta significava giorni e giorni di biblioteca, ora col web hai tutto a disposizione e puoi comunicare rapidamente con la posta elettronica! I software di ricerca sono importantissimi… Anche se si sta creando un gap tra Università grandi e ricche e atenei più piccoli e con meno fondi, destinati ad accedere solo ad una parte delle pubblicazioni, quelle gratuite, spesso solo abstract.
UNIVERSITÀ ITALIANA – Il problema di fondo dell’università italiana è al 90% il sistema assurdo per cui i fondi dati a un dipartimento o gruppo di ricerca ampio vengono poi spartiti … in questo modo, se lavorassi in Italia, dipenderei da qualcuno che decide su questi fondi ma non sempre sulla base di competenze o valutazioni del progetto di ricerca… questo per me sarebbe un compromesso faticoso da sopportare, e un concetto difficile da digerire!
APERTURA MENTALE – Il principio del mio lavoro qui è davvero: “Act locally and think globally” devi agire cercando di essere il migliore nel tuo campo, anche se altri faranno meglio, mai accontentarsi: questo è quello che mi ha insegnato Stanford….spingersi ai limiti. Alle volte può essere doloroso… ad esempio arrivare pensando di saperne abbastanza, sul proprio argomento di ricerca, ed essere travolto da 100 documenti da leggere al più presto, segnalati da un capo che nel mio caso è il maggior esperto mondiale in materia. In Italia inoltre è fondamentale il libro di testo (anche all’Università), anche se risale a 30 anni fa e magari per la ricerca scientifica attuale è totalmente sorpassato o errato. Mentre gli articoli che si trovano sulle riviste scientifiche sono quello che la ricerca sta facendo ora. E bisogna saperli leggere con spirito critico, capendone implicazioni e limiti, in base a quello che si sa e si sta facendo. E maggiori contaminazioni hai, più sai, perché puoi vedere ciò che stai studiando da angolazioni diverse e perché il sapere è dinamico. Anche per questa ragione a Stanford all’interno di uno stesso laboratorio lavorano esperti di argomenti diversi. Questo ti permette di ampliare le tue conoscenze e di confrontarti a più ampio spettro con gli altri ed eventualmente anche di spostare le tue ricerche in altri campi.
Generalmente in Italia le persone lavorano nello stesso laboratorio anche per 20 anni, continuando a studiare sempre lo stesso argomento dalla stessa angolazione. In Italia, sono andato a trovare degli amici in un laboratorio, non sapevano nemmeno cosa stessero facendo i ricercatori della porta accanto. Con la mentalità che ho acquisito qui, per me questo è inconcepibile, come lo è il sottrarsi al confronto. Mi è capitato di ricevere dall’Italia la notizia su un articolo su una ricerca simile alla mia, i cui autori dicevano: abbiamo capito tutto di questo argomento e chi ne ha parlato prima non aveva capito niente… Ho detto ok, vediamo questo lavoro. Ho cercato di contattarli tramite e-mail, non mi hanno neanche risposto. Quello che trovo più tragico è che è sbagliato il principio: la ricerca funziona sul confronto e solo così può progredire. Non puoi sottrarti al confronto con l’atteggiamento di pensare: non ti mostro lavoro altrimenti mi rubi la mia idea…
PATRIMONIO ITALIANO – Una cosa importante che bisogna riconoscere all’Università e alla scuola superiore italiana è il fatto di dare agli studenti una base di conoscenza più ampia, rispetto alla preparazione culturale media americana o inglese. Questo, nel momento in cui arrivi nell’Università americana, serve a poco, se devi leggerti e capire i 100 e passa articoli specialistici! Ma una volta superata la fase iniziale e presa dimestichezza con questo altro modo di fare ricerca, le diverse contaminazioni e i diversi tipi di conoscenze che hai immagazzinato nella tua testa durante i tuoi anni di studio in Italia aspettano solo di venire fuori. Ed è una grande cosa!! Le contaminazioni, il vedere da angolazioni diverse uno stesso argomento di ricerca, questa profondità di conoscenze, che non servono al momento in cui arrivi a fare ricerca negli USA come PhD o Post-Doc, potranno esserti molto utili in seguito. Questo è un patrimonio nostro, un vantaggio competitivo in campo globale, che dovremmo ripensare e valorizzare anche in Italia.
Lo segnalerò ai chmici industriali bolognesi portati in Silicon Valley
SOLIDARIETA’ AL RICERCATORE “ESILIATO”!
ma ora la soluzione al problema corre su internet!
http://concorsibanditi.wordpress.com
Appena finito di leggere volevo scrivere a questa persona, anche solo per i complimenti.
Magari un’idea per il futuro: chiedere se le persone intervistate da Italiani di Frontiera vogliono metterer un collegamento o un contatto. Secondo me potrebbe essere un bel valore aggiunto. 🙂
Grazie Folletto. questo e’ uno degli obbiettivi di questo progetto: stabilire un contatto costante con gli italiani di Silicon Valley. Cosa che richiedera’ comunque di presentarsi con il proprio nome.